Io ho frequentato l’università a Milano.
Il primo anno l’adoravo: passare dal nulla alla metropoli era stato bello, tutto a portata di mano, anonimato, nessuno che ti giudica, mezzi pubblici che ti portano ovunque.
Milan l’è ‘n gran Milan!
Poi passata la novità quella freddezza tipica delle grandi città non mi rispecchiava più, avevo iniziato a vederne gli aspetti negativi, avevo iniziato a temerla, a non capirla.
Durante la gravidanza della Grande io frequentavo ancora le lezioni della laurea specialistica e quindi dal lunedì al venerdì vivevo ancora là con le mie coinquiline.
Col pancione in crescita improvvisamente tutti, va beh, quasi tutti, erano diventati più cordiali; quando lo notavano gli abitanti di quella città che fino al giorno prima non mi consideravano mi sorridevano complici.
In metropolitana e in tram mi veniva sempre lasciato un posticino.
In bagno di fronte al mio pancione la coda si faceva da parte anche quando dovevo semplicemente lavarmi le mani.
Camminavo per quella città sentendomi spensierata, felice, la gravidanza era proprio come l’avevo sognata.
All’università poi era bellissimo: tutte le compagne di corso, già prima gentili, erano diventate ancora più attente e disponibili.
Vivevo in questo stato di beatitudine e avevo iniziato a fare pace con Milano.
Stavo seduta ad ascoltare i professori parlare ed ero beata, andavo al bar a prendere un caffè e me lo godevo proprio.
Dicono che il feto senta le emozioni materne e anche i suoni provenienti dall’esterno; ho letto che già capisce, che riconosce la voce materna e anche quella paterna come familiare forse perché la Mamma è ben disposta, rilassata quando parla il compagno.
Ecco non so quindi se è stato questo a fregarmi, se il ritrovato amore per Milano ha fatto intendere alla Grande che anche lei doveva amarla, perché lei oggi, nonostante sia sempre vissuta in Emilia Romagna, da genitori Emiliani, parla milanese!
“Grande come è andata oggi a scuola?”
“Bène”
“Se mai béne. Comunque, cos’è successo di bello?”
“Eh, bène! La Nicol mi ha dètto che mi invita al compleanno”
“Cosa vorresti per cena, facciamo le cotolétte?”
“Sì, la cotolètta”
Ehi Grande vedi di chiudere quelle E!
In quanto a te Milano, va bene che avevo iniziato a fare pace con te, che ho sfruttato quello che avevi da offrire, che ti ho abitato, amato, odiato e poi ancora amato, ma ti prego esci dall’accento di mia figlia!